Ci sono avvenimenti che più di altri, hanno determinato profondamente il destino di un oggetto e del suo ideatore: uno di questi è la mostra che nel maggio del 1972 fu di scena presso il MoMA di New York: “Italy. The New Domestic Landscape”. È trascorso mezzo secolo, ma quella rassegna resta un momento cruciale per il design italiano, menzionata in pubblicazioni e descrizioni di catalogo, a sottolineare un evento simbolico del passo avanti compiuto dal progetto made in Italy nel mondo. Concepita dall’argentino Emilio Ambasz, allora curatore del dipartimento di Architettura e Design del MoMA, con l’appoggio del Ministero del Commercio Estero, la mostra fu la prima a presentare a New York (e al mondo) la ricerca dei progettisti italiani a 360 gradi.
Come si confà ai grandi avvenimenti, la mostra non fu priva controversie: se essa segnava il rafforzarsi dell’esportazione della creatività italiana all’estero attraverso imprese e progetti, una fetta di critica la giudicò un’operazione dispersiva e non convincente, anche se è proprio nella natura policentrica della mostra che risiedeva il suo valore intrinseco, la capacità cioè di affiancare voci del panorama creativo italiano apparentemente lontane fra loro, ma unite dal potere innovativo alla base di ogni singolo progetto.
Paradossalmente, New York, città simbolo della modernità, lasciava spazio al genio della progettualità made in Italy in un momento in cui il nostro paese, con le debolezze e complessità del momento storico, non era certamente ai primi posti in quanto ad avanguardia: ma fu il metodo dei maestri italiani a conquistare la sensibilità newyorchese, e del mondo, proprio da un punto di vista del processo creativo, prima ancora che produttivo.
«L'Italia», affermava Ambasz nella presentazione della mostra, «non è solo la forza dominante del design di prodotto nel mondo oggi, ma illustra anche alcune delle preoccupazioni di tutte le società industriali. L'Italia ha assunto le caratteristiche di un micro-modello dove un'ampia gamma di possibilità, limitazioni e criticità dei designer contemporanei di tutto il mondo sono ripresentati sttraverso approcci diversi, e talvolta opposti. Questi includono una vasta gamma di teorie contrastanti sullo stato attuale dell'attività progettuale, la sua relazione con l’edilizia e lo sviluppo urbano, nonché una crescente sfiducia nei confronti degli oggetti di consumo».
Entriamo nel vivo della mostra con esempi concreti: organizzata in due sezioni, Objects ed Environments, la rassegna proponeva nella prima parte circa 180 oggetti tra mobili, lampade, accessori e ceramiche, realizzati da un centinaio di designer italiani, selezionati per la rilevanza in merito a quale dovesse essere il "compito del design”, mentre nella seconda, si esploravano 12 ambienti — fabbricati in Italia poi spediti a New York! —, articolati sul tema dell’abitazione, il “domestic landscape” per l’appunto, nelle sue diverse sfaccettature.
Un’operazione ambiziosa da cui emergevano, secondo Ambasz, tre attitudini della progettualità italiana: "conformista", definizione che raggruppava arredi che rispondessero alle esigenze di una tradizionale vita domestica attraverso l’uso innovativo di materiali, colori e tecnologie produttive, tra cui spiccavano il tavolo Poker (1968) di Joe Colombo in legno laminato e acciaio, o la poltrona lounge Soriana di Afra e Tobia Scarpa; "riformista" era la sezione che, consapevole consapevole dei nuovi riferimenti socio-culturali ed estetici, ripensava gli oggetti quotidiani attraverso una narrazione nuova, sospesa tra arte e design e intrisa di un tocco di ironia, come nel caso della poltrona con poggiapiedi con forme femminili Donna (1969) di Gaetano Pesce; “contestatrice” era invece la categoria che includeva i pezzi firmati dai designer che ritenevano che un oggetto non potesse più valere come entità isolata, ma in relazione ad ambienti e contesti sociali in mutamento, dunque flessibili e versatili nella loro funzione: ne sono un esempio Tavoletto (1967), un tavolino basso su rotelle con letto ribaltabile all'interno, firmato da Alberto Salvati e Ambrogio Tresoldi, o Il Serpentone progettato da Cini Boeri (1971), un divano di lunghezza illimitata che può essere piegato in curve cave o convesse, a seconda delle esigenze.
Nel frattempo, gli ambienti accendevano i riflettori su nuovi modelli di stili di vita sempre più informali, con una conseguente ripercussione sullo spazio domestico ideale: Ettore Sottsass espose dei microambienti in plastica su rotelle e riorganizzabili, mentre Joe Colombo presentò le Total Furnishing Unit (1971/2), unità fisse in plastica per bagno, cucina, camera da letto inseribili in qualsiasi spazio: una vera e propria “struttura di vita”, modulare e con tutto il necessario per vivere. La multifunzionalità fu anche il fil rouge del progetto di Gae Aulenti, una serie di elementi plastici stampati (nella foto), che possono essere combinati per formare ambienti architettonici polivalenti.
Il catalogo di “Italy.The new Domestic Landscape”, che rappresenta in sé un bell'oggetto vintage da collezione, è una prestigiosa pubblicazione in inglese di 430 pagine, in cui sono riprodotti i progetti della mostra nei dettagli, con brevi biografie dei diversi autori affiancati da interventi a cura dei principali critici e accademici italiani dell’epoca. Scoprite su intOndo le edizioni di molti oggetti che erano presenti alla mostra!